God of War Ragnarök: Valhalla, tra combattimenti all'ultimo sangue e psicoterapia
(Seguono SPOILER sulla narrazione dell'espansione gratuita "Valhalla" di God of War Ragnarök)
Succede ogni tanto, in un'industria potente e blasonata come quella videoludica, che una casa di sviluppo abbia veramente a cuore la missione puramente artistica di raccontare una storia, e raccontarla bene. Succede anche meno spesso, però, che questa missione venga sottoposta ai giocatori con la forma di un'aggiunta totalmente gratuita a uno di quei giochi così belli e ben fatti che già da soli facevano quasi gridare al miracolo.
Così si configura l'operato di Santa Monica Studios, che negli ultimi anni ha preso le redini di una delle saghe videoludiche più amate, God of War, e l'ha fatta virare verso una direzione che favorisse, oltre al sempre eccellente gameplay, una narrazione ancora più adulta, matura, profonda e stratificata. Da questa prospettiva nascono God of War (2018) e God of War Ragnarök, due titoli che approfondiscono l'epopea dello spartano dio della guerra Kratos in un viaggio in cui egli, accompagnato dal figlio, riscopre cosa vuol dire essere padre, quali sono le responsabilità di chi ha un grande potere, l'importanza dei rapporti umani e la fondamentale difesa del bene comune.
Poi, a fine 2023, Santa Monica espande la storia regalandoci un altro portentoso pezzo del percorso di Kratos, attraverso il contenuto aggiuntivo gratuito "God of War Ragnarök: Valhalla". Ed è qui che, quello che sicuramente è un nuovo divertentissimo modo di godere del sopraffino sistema di combattimento del gioco originale, diventa contemporaneamente una lettera d'amore ai fan di lunga data ma soprattutto un vero cammino introspettivo nella psiche di un personaggio che deve bilanciare un passato burrascoso ad un presente di rivalsa e di inaspettata crescita emotiva.
Il Valhalla, luogo in cui secondo la mitologia norrena i guerrieri morti in battaglia vivono un eterno ciclo di morte, combattimento e resurrezione, diventa infatti teatro di quelle che sono a tutti gli effetti sessioni di psicoterapia tra Kratos e Týr, il norvegese dio della guerra. Perché, all’interno di questi cicli di combattimenti all’ultimo sangue, Kratos è costretto a rivivere i ricordi più dolorosi della sua vita passata, riflettere su tutte le decisione che ha intrapreso e venire a patti persino con le più grandi atrocità che ha commesso, quando ancora la vendetta consumava la sua anima.
Ecco che quindi che Týr, come qualsiasi bravo psicologo, si batte contro Kratos in delle battaglie che costringono lo spartano a combattere, letteralmente, i suoi trami, le sue azioni peggiori, e tutto ciò di cui si pente. Ed in una splendida metafora del percorso psicologico che ognuno di noi intraprende nel tentativo di far pace con noi stessi e trovare una stabilità interiore che ci consenta il giusto equilibrio per il nostro futuro, Kratos affronta, sfida dopo sfida, ricordo dopo ricordo, ogni nodo sbagliato del suo passato e ogni sciagura che ha inflitto e subito.
Alla fine di questo viaggio, fatto di vittorie ma anche di sconfitte che fanno crescere, Kratos si trova ad enunciare uno splendido monologo diretto al suo io più giovane, più rabbioso, più violento. Ed è in questa commuovente scena che il gioco ci mostra cosa vuol dire accettarsi senza giustificarsi, perdonarsi attraverso la comprensione di ciò che ci ha portato ad intraprendere certe strade, ma soprattutto accettare il male che si è sofferto (e che abbiamo inferto) per poterne uscire più consapevoli e svegliarci domani come delle persone migliori.
La saggezza che deriva dalla (ri)scoperta di sé stessi, la bontà che può nascere anche dagli errori, la pace interiore che tutti cerchiamo e che possiamo raggiungere solo dopo aver ammesso, compreso e accettato ogni nostra scelta e tutto ciò che ci è accaduto. È questo punto di vista sul proprio vissuto, che God of War Ragnarök: Valhalla ci ha donati, senza chiedere nulla in cambio.
Che bellissimo, bellissimo, regalo di Natale.
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